Torino – Il «processo del secolo» è arrivato all’ultimo atto. O almeno, è quel che si augurano i familiari delle vittime dell’amianto targato Eternit. Mercoledì 19 novembre la Corte di Cassazione pronuncerà il verdetto definitivo sulla vicenda delle migliaia di morti per mesotelioma pleurico (il tumore provocato dell’inalazione di polveri d’amianto) nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga e tra i cittadini di Casale Monferrato, Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). I giudici della Suprema corte dovranno decidere se confermare la condanna a 18 anni all’unico imputato rimasto nel processo: il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, giudicato in primo e in secondo grado a Torino, insieme all’altro erede delle dinastie proprietarie dell’impero Eternit, il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, morto prima della conclusione del processo d’appello. In primo grado entrambi erano stati condannati a 16 anni.
Gli scenari possibili: la Cassazione può confermare il verdetto d’Appello sancendo in modo definitivo che il disastro ambientale è stato compiuto (e le migliaia di morti ne sono prova), che lo svizzero ne è responsabile e che aveva la consapevolezza di farlo. Oppure potrebbe annullare la sentenza assolvendo l’imputato. O, ancora, annullarla parzialmente e qui le variabili sono molteplici, ma di certo comporterebbero il rifacimento del processo non si sa da che livello (udienza preliminare, primo grado, Appello?). Improbabile, che l’imputato Schmidheiny si presenti: nelle decine di udienze torinesi, che pure erano più vicine alla Svizzera dove c’è il suo fortino, in alternativa alla dimora in Costarica, non è mai intervenuto. Potrebbe, tuttavia, decidere diversamente, provando a dare una nuova e diversa immagine di sè.